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Mai così tanti giornalisti in galera. Un anno spaventoso per la libertà di informazione

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Sono 320 i giornalisti in carcere al primo dicembre 2023, secondo un’indagine del Committee to Protect Journalists (CPJ). Il secondo dato più alto da quando, nel 1992, il CPJ ha iniziato a censire il numero di giornalisti dietro le sbarre in tutto il mondo. Il censimento è infatti un’istantanea dei giornalisti incarcerati al primo dicembre di ogni anno, non include quelli scomparsi o tenuti imprigionati da soggetti non statali né chi è stato in carcere durante l’anno e poi rilasciato. In ogni caso si tratta di una fotografia inquietante dell’autoritarismo dei governi e della loro determinazione a soffocare le voci dipendenti. In alcuni casi, la repressione è transnazionale: i giornalisti sono minacciati e intimiditi anche al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei mandati di arresto emessi da Mosca per i giornalisti russi che vivono in altri paesi, o dell’Etiopia che ha imposto il ritorno di un giornalista in esilio per affrontare le accuse di terrorismo dopo averlo fatto arrestare nella vicina Gibuti.

Più della metà dei giornalisti in carcere (168) è vittima di diffamazione e accusata di terrorismo nei confronti del proprio paese, come ritorsione per le loro indagini critiche nei confronti dei governi. Spesso si fa ricorso a detenzioni preventive che vengono estese ingiustificatamente e le ritorsioni riguardano anche gli avvocati difensori. In 66 casi, le persone detenute non sono state neanche informate delle accuse mosse nei loro confronti. 

Oltre un terzo dei giornalisti in carcere è in Cina (44%), Myanmar (43%) e Bielorussia (28%). Al sesto posto – a pari merito con l’Iran – e dopo Russia e Vietnam, c’è Israele, in cui il numero degli operatori dei media arrestati è salito dopo l’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, in seguito all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre.

Le tristi conferme: Cina, Myanmar, Bielorussia

La Cina si conferma il paese dove è in carcere il maggior numero di giornalisti (44 detenuti). Un dato probabilmente anche sottodimensionato considerato che “la censura rende notoriamente difficile determinare il numero esatto di giornalisti incarcerati”, spiega il CPJ. Negli ultimi anni stanno finendo in carcere anche giornalisti di Hong Kong, in particolare dopo la dura legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino in seguito alle proteste di massa a favore della democrazia. Molti dei giornalisti detenuti all’epoca sono rimasti in carcere in attesa che iniziasse il loro processo. Come Jimmy Lai, fondatore del giornale Apple Daily, poi costretto a chiudere, rimasto in carcere quasi 1.100 giorni prima che iniziasse il processo nei suoi confronti. Se condannato, potrebbe essere incarcerato a vita. 

Nelle mire della Cina ci sono poi giornalisti di etnia uigura, accusati di spionaggio, incitamento al separatismo o sovversione del potere statale. Pechino è stata accusata di crimini contro l’umanità per le detenzioni di massa e la dura repressione dei gruppi etnici dello Xinjiang, per lo più musulmani. Ben 19 dei 44 giornalisti in carcere nel 2023 sono uiguri.

La repressione dei giornalisti è aumentata drasticamente anche in Myanmar e Bielorussia. In Myanmar, i media indipendenti del paese sono stati spazzati via dal colpo di Stato militare del febbraio 2021: la giunta ha chiuso le agenzie di stampa, ha arrestato e costretto all’esilio i giornalisti. A maggio, il fotoreporter Sai Zaw Thaike è stato arrestato mentre copriva le conseguenze del letale ciclone Mocha nel Myanmar occidentale ed è stato successivamente condannato a 20 anni di carcere per sedizione - la pena detentiva più lunga mai comminata a un reporter dopo il colpo di Stato.

In Bielorussia, il numero di giornalisti incarcerati per il loro lavoro si è incrementato a partire dalle proteste di massa del 2020 contro la contestata rielezione del presidente Aleksandr Lukashenko. La maggior parte dei giornalisti - il 71% - è accusata di tramare contro lo Stato, quasi la metà sta scontando pene di cinque o più anni. Cinque dei sette giornalisti arrestati nel 2023 sono stati accusati di aver creato (o partecipato a) gruppi estremisti o di aver facilitato attività estremiste. Secondo l'Associazione bielorussa dei giornalisti in esilio, almeno 19 media sono stati etichettati come "estremisti" negli ultimi due anni.

Gli arresti in Israele e Iran

Nel 2023 il CPJ ha registrato il più alto numero di giornalisti arrestati in Israele da quando ha iniziato i suoi censimenti più di 30 anni fa. Tutti i diciassette giornalisti detenuti in Israele all’1 dicembre 2023 sono palestinesi e sono stati arrestati nella Cisgiordania occupata dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre. Nell’ultimo censimento del CPJ, un solo giornalista palestinese risultava in carcere in Israele. A livello globale, Israele è ora il sesto paese per numero di giornalisti incarcerati, a pari merito con l'Iran. 

Il forte aumento evidenzia una volta di più quanto sia pericoloso per i giornalisti coprire la guerra nella Striscia di Gaza. Finora, sempre secondo i dati raccolti dal CPJ, sono 83 i giornalisti e gli operatori dei media uccisi: 76 palestinesi, 4 israeliani e 3 libanesi. Tuttavia, come detto, tutti i giornalisti in carcere dal 7 ottobre in poi provengono dalla Cisgiordania, territorio occupato da Israele dal 1967. “Fare reportage dalla Cisgiordania comporta una serie di rischi unici, tra cui gli attacchi dei coloni israeliani e delle forze dell'ordine israeliane e palestinesi e, sempre più spesso, gli arresti militari israeliani”, spiega il CPJ. 

La maggior parte dei giornalisti è in detenzione amministrativa, una condizione che consente alle autorità israeliane di trattenere i detenuti senza accuse sulla base del sospetto che stiano pianificando nuovi reati in futuro. La riservatezza di queste procedure non ha consentito ai ricercatori del CPJ di venire a conoscenza di eventuali accuse a carico dei giornalisti: secondo le famiglie contattate, probabilmente sono stati arrestati per alcuni loro post sui social media. 

Anche in Iran sono diciassette i giornalisti in carcere, un dato in calo rispetto ai 62 operatori dei media detenuti nel 2022 in seguito al giro di vite sulla copertura delle proteste guidate dalle donne e scatenate dalla morte della 22enne Mahsa Amini. Gran parte dei giornalisti è stata rilasciata su cauzione in attesa di accuse o sentenze, il che significa che il minor numero di incarcerati nel 2023 non indica in alcun modo un rallentamento della repressione dei media da parte dell'Iran. 

Al contrario, le autorità hanno risposto all'aumento delle notizie sui diritti delle donne individuando giornaliste di spicco per farne un bersaglio. Otto dei 17 giornalisti detenuti al primo dicembre 2023 sono, infatti, donne. Tra queste, Niloofar Hamedi ed Elahe Mohammadi, tra le prime giornaliste a raccontare la morte di Amini nel settembre 2022. Condannate a scontare rispettivamente 13 e 12 anni di carcere per accuse legate al loro reportage, le due giornaliste hanno potuto lasciare il carcere su cauzione il 14 gennaio 2024 - dopo quasi 16 mesi dietro le sbarre - mentre la Corte Suprema iraniana esamina il loro appello. La giornalista freelance, Vida Rabbani, si trova nel carcere di Evin per scontare la prima di due condanne a un totale di 17 anni per la sua attività di denuncia delle proteste.

Anche la Russia ha intensificato gli sforzi per sopprimere la libera informazione. Con i media indipendenti del paese spazzati via dopo l'invasione dell'Ucraina del febbraio 2022, Mosca sta cercando di criminalizzare il giornalismo al di fuori dei suoi confini, emettendo mandati di arresto e condanne a pene detentive in contumacia per diversi giornalisti di spicco che lavorano in esilio. 

La Russia detiene anche un numero sproporzionato di reporter stranieri nelle sue carceri. Due, Evan Gershkovich e Alsu Kurmasheva, sono cittadini statunitensi in detenzione preventiva. Dieci sono ucraini, di questi cinque tatari, un gruppo etnico prevalentemente musulmano originario della Crimea. Quattro di loro stanno scontando pene dai 12 ai 19 anni con l'accusa di terrorismo. 

Le ritorsioni e la crudeltà delle condizioni carcerarie

Agli arresti, spesso arbitrari, si aggiungono le dure condizioni detentive. Secondo i rapporti nazionali pubblicati dal Dipartimento di Stato americano all'inizio del 2023, i giornalisti in carcere in Cina, Myanmar, Bielorussia, Russia e Vietnam hanno dovuto affrontare abusi fisici e sessuali, sovraffollamento, carenza di cibo e acqua e cure mediche inadeguate.

Almeno 94 dei 320 giornalisti in carcere, quasi il 30% del totale, soffriva di problemi di salute. La ricerca del CPJ ha rilevato numerosi casi in cui sono stati negati l'assistenza sanitaria, le medicine e talvolta i beni di prima necessità come il riscaldamento, l'acqua calda e l'elettricità.

La giornalista vietnamita, Huynh Thuc Vy, ad esempio, sta scontando due anni e nove mesi per aver presumibilmente deturpato la bandiera del Vietnam. Suo padre, Huynh Ngoc Tuan, ha dichiarato al CPJ nel novembre 2023 che Vy aveva sviluppato un rigurgito tricuspidale, una grave patologia cardiaca, che richiedeva farmaci che la prigione non forniva e che la sua famiglia non poteva permettersi di acquistare e far recapitare regolarmente.

Sempre in Vietnam, i funzionari del carcere hanno smesso di fornire acqua calda a Tran Hunyh Duy Thuc per impedirgli di preparare spaghetti istantanei acquistati nella mensa del carcere. Thuc, che sta scontando una condanna a 16 anni di carcere, seguiti da cinque anni di arresti domiciliari, per “attività volte a rovesciare il governo”, ha messo in atto frequenti scioperi della fame per denunciare le cattive condizioni di detenzione e lo scorso settembre ha smesso di mangiare il cibo della prigione in segno di protesta contro l'ingiusto razionamento del cibo. I familiari di Thuc hanno raccontato che nel 2017 ha sviluppato una malattia agli occhi dopo che i funzionari del carcere hanno regolarmente tagliato l'elettricità alla sua cella buia e si sono rifiutati di consegnargli le torce a batteria fornite dalla sua famiglia, adducendo come motivazione che i dispositivi elettronici sono vietati ai prigionieri.

In Russia, alla giornalista ucraina freelance, Iryna Danylovych, che sta scontando una condanna a 6 anni e 11 mesi, vengono negate le cure mediche nonostante abbia perso l'udito dall'orecchio sinistro e soffra di mal di testa debilitanti. “Irina è sull'orlo di un collasso”, ha dichiarato il padre di Danylovych al CPJ. 

In Bielorussia, Ksenia Lutskina non riceve cure mediche adeguate nonostante soffra di un tumore al cervello, cresciuto mentre sconta una condanna a otto anni.

Immagine in anteprima via rawpixel.com


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